L’analisi del discorso, la strategia che orienta la ricerca di Michel Foucault (1926-1984) esplicitamente da L’archéologie du savoir (1969), muove dall’inquietudine suscitata dal proliferare dei discorsi nella storia della cultura occidentale. Le procedure di controllo, selezione, organizzazione, distribuzione della produzione del discorso avrebbero infatti la “funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli, di padroneggiarne l’evento aleatorio, di schivarne la pesante temibile materialità” (Foucault 1970, p. 12). All’inquietudine che suscita il proliferare dei discorsi risponde un insieme di condizionamenti, restrizioni, interdetti, procedure di legittimazione ed esclusione altrettanto inquietante, in quanto appare come il prodotto dalla volontà di verità che anima il costituirsi dei diversi ambiti del sapere con tutte le discipline, le istituzioni, i ruoli, le pratiche che vi si connettono (psichiatria, manicomio, medicina, clinica, diritto penale, prigione, archivio etc.).

In questa prospettiva la volontà di verità non appare solo arbitraria e contingente come altre procedure di interdetto, ma come l’ordine dissimulato che le regola tutte. Scrive Foucault: “credo insomma che questa volontà di verità, così sorretta da un supporto e da una distribuzione istituzionali, tenda ad esercitare sugli altri discorsi una sorta di pressione e quasi un potere di costrizione (Foucault 1970, p. 16). In breve, la questione alla quale l’analisi del discorso deve rispondere è la seguente: “in che modo, nelle società occidentali moderne, la produzione di discorsi cui si è attribuito un valore di verità è legata ai vari meccanismi ed istituzioni di potere?” (Foucault 1976, p. 8).

L’analisi del discorso intende mostrare l’ordine – mai semplice e univoco ma sempre differenziato e mobile – che presiede alla produzione dei discorsi, degli oggetti che questi suscitano, delle posizioni soggettive che vi si trovano implicate. È rivolta allo studio della funzione del discorso e non alla sua struttura considerata per se stessa e nemmeno all’identificazione del senso che nel discorso sarebbe celato. Ma soprattutto intende liberare la possibilità del discorso da tutte le istanze di controllo  che lo orientano e regolano secondo il criterio della volontà di verità, escludendo quei discorsi che in qualche modo possono perturbare l’ordine costituito, destabilizzare le istanze di potere che l’organizzano a distanza. Per questo, l’analisi del discorso non si occupa solo dei testi considerati canonici, il cui oggetto è esplicitamente tematizzato da un autore e acquisito nell’ambito di un sapere riconosciuto, ma anche e soprattutto di documenti legali, repertori di casi, tabelle statistiche, regolamenti istituzionali, ovvero del discorso anonimo ma efficace in cui è possibile riconoscere il fascio di relazioni complesse e differenziate che lega la possibilità dei discorsi alle istanze di potere.

Non si può cogliere il senso e l’attualità dell’analisi del discorso proposta da Foucault se la si scioglie dalla sua portata politica, dallo spirito di emancipazione che la inquieta, dal lascito di cui si fa carico (in particolare, Nietzsche e Bataille). Con L’ordre du discours (1970), Foucault propone una serie di principi ai quali ispirare l’analisi del discorso per una pratica flessibile (quale era già all’opera, d’altra parte, in Histoire de la folie, Les mots et les choses, Naissance de la clinique, e lo sarà ancora nella Historie de la sexualité): il rovesciamento, la discontinuità, la specificità e l’esteriorità.

Rovesciamento: riconoscere nel ruolo positivo tradizionalmente attribuito alle nozioni di autore, opera, disciplina, volontà di verità delle istanze di controllo e rarefazione del discorso; dei dispositivi che regolano il proliferare dei discorsi secondo limiti, ordine e misura riconoscibili.

Discontinuità: riconoscere che al di là delle istanze di controllo non vi è un discorso unico e semplice, da queste represso, ed al quale bisogna restituire la parola, così come non vi è un’unica istanza di potere che esercita il controllo da un’unica posizione e secondo un unico fine (in questo caso il riferimento critico è il marxismo, ed è proprio in quest’orizzonte che dagli anni Ottanta l’analisi del discorso troverà largo impiego negli studi culturali).

Specificità: il discorso non è semplice rispecchiamento della realtà ma la sua elaborazione. Dal tipo di elaborazione dipende l’integrazione del discorso in un certo ordine o la sua esclusione, la regolarità o rarità delle sue apparizioni in ambiti differenti o contigui.

Esteriorità: l’analisi non si rivolge al discorso quale semplice manifestazione di un significato, di un pensiero da interpretare, ma procede “verso le sue condizioni esterne di possibilità” (p. 30).

La ricerca ispirata a questi quattro principi opera secondo due prospettive diverse ma articolate fra loro: la critica e la genealogia. “Da una parte l’insieme critico che mette in opera il principio del rovesciamento: cercare di individuare le forme dell’esclusione, della limitazione, dell’appropriazione; mostrare come si sono elaborate, in risposta a quali bisogni, come si sono modificate e spostate, quale costrizione hanno effettivamente esercitato, in che misura sono state aggirate. D’altra parte, l’insieme genealogico che mette in opera gli altri tre principi: come si sono formate, attraverso, a dispetto o con l’appoggio di tali sistemi di costrizione, delle serie di discorsi; qual è stata la norma specifica di ciascuna, e quali sono state le loro condizioni di apparizione, di crescita, di variazione” (p. 33).

L’opera di Foucault è largamente presente nella produzione degli studi culturali dalla scuola di Birmingham fino alla produzione più recente. La sua diffusione è in parte legata alla crescente insoddisfazione nei confronti della Scuola di Francoforte e più in generale del marxismo, incapaci di cogliere le complesse stratificazioni delle relazioni di potere nella società moderna. In particolare, l’analisi del discorso sembra offrire strumenti più raffinati per interpretare i fenomeni culturali legati alla contemporaneità: la specializzazione accademica con i suoi effetti di frammentazione e distorsione della diffusione culturale (Agger 1989); la televisione quale forma di produzione e istanza di controllo della cultura popolare (Fiske 1994), e delle identità culturali all’epoca della globalizzazione (Barker 1999); le relazioni di potere che presiedono al discorso scientifico, con particolare attenzione all’affermarsi delle nuove tecnologie (Bennett 1998); il rinnovarsi delle forme di potere per il controllo dei nuovi media come internet (Hepp Winter 1999).

Non è possibile chiudere la lista degli studi culturali ispirati a Foucault ed all’analisi del discorso. Bisogna però rilevarne l’uso anche in una prospettiva che potremo definire metodologica, o riflessiva, definita Critical Discourse Analysis (Fairclough 1995; Barker, Galasiski 2001). Da un lato, l’analisi del discorso diventa strumento di autosorveglianza critica per il ricercatore che deve evitare di riprodurre quelle relazioni di potere che vuole mettere in discussione; ed inoltre, per evidenziare e discutere i presupposti, le pretese di verità della sua ricerca. Dall’altro, diventa parte di una teoria dell’interpretazione piuttosto eclettica (tiene insieme analisi del discorso e decostruzione, pragmatismo e sociosemiotica, sociolinguistica e psicologia cognitiva), intesa come sistema di opzioni, struttura aperta, flessibile, dinamica, infinitamente perfettibile, per la quale il discorso è allo stesso tempo prodotto e produttore di forme e relazioni sociali. E tuttavia, il tentativo di fornire agli studi culturali uno strumentario teorico organico e fondato da un punto di vista propriamente scientifico, rischia di riprodurre quell’ordine del discorso che nelle intenzioni si vuole contestare (Barker, Galasiski 2001). 



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